Il riconoscimento dell’assegno di mantenimento erogato all’ex coniuge e la misura dell’importo del suo ammontare vengono rapportati alle reali capacità di lavoro del coniuge separato o divorziato. La Corte di Cassazione, in molteplici occasioni (Cass. n.16405/2019, n. 5817/2018; n.789/2017 e, tra le più recenti, Cass. n.2653/2021), ha affermato il principio secondo il quale l’ex coniuge che può lavorare deve cercare di farlo e non esiste un “diritto di non reperire nessuna attività lavorativa” per continuare ad essere mantenuti.
Secondo l’art. 143 c.c., “con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.
La comunione descritta sopra distingue il matrimonio da qualsiasi altro accordo di natura tipicamente contrattuale. Da ciò deriva il dovere di provvedere alle esigenze della famiglia per entrambi i coniugi così come il dovere di mantenimento reciproco dei coniugi ed anche verso i figli.
La corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore del coniuge separato privo di adeguate sostanze proprie trova la sua obbligatorietà nell’articolo 156 del codice civile.
Con la separazione il vincolo matrimoniale non viene sciolto ma viene sospeso in attesa della sentenza di divorzio. Lo status di coniuge rimane inalterato, mutano soltanto alcuni connotati del matrimonio, quali l’obbligo di fedeltà e di convivenza.
Restano perciò intatti i doveri di assistenza morale e di collaborazione come anche il dovere di assistenza materiale che sfocia nella determinazione dell’assegno di mantenimento nei confronti del coniuge che ha bisogno di un sostentamento perché privo di risorse economiche proprie per poter vivere.
Durante la fase della separazione, l’assegno di mantenimento ha la funzione di far conservare al coniuge economicamente più debole lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio; dopo il divorzio, invece, l’assegno assume la funzione di dare al coniuge più debole un contributo economico congruo e quindi di conseguenza l’ex coniuge percipiente l’assegno ha il dovere di rendersi autosufficiente dal punto di vista economico.
In determinate circostanze, potrebbe accadere che la ex moglie che riceve l’assegno di mantenimento rifiuti di svolgere un lavoro che le viene offerto, ritenendolo non adeguato se confrontato con la sua preparazione professionale.
Con la sentenza n. 5931/21 del 4 marzo 2021, la Cassazione ha affermato che l’ex moglie, beneficiaria dell’assegno di mantenimento, avendo rifiutato di svolgere diversi lavori perché riteneva le proposte ricevute non adeguate alla sua laurea in farmacia, sarebbe decaduta dal ricevimento dell’assegno di mantenimento sovvertendo in tal modo la pronuncia della Corte d’Appello che aveva dato ragione alla ex moglie, ritenendo “svilente” che una persona laureata e che in precedenza aveva “goduto di un livello di vita invidiabile”, potesse essere “condannata al banco di mescita oppure a fare la badante”.
In tale nuova prospettiva di ricerca di un valido lavoro retribuito, devono essere valutate anche le attività reputate “inferiori” purché rendano economicamente indipendente l’ex coniuge, a meno che non risultino davvero inaccettabili per altri motivi.
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