L’art. 68 del Codice deontologico forense prevede al primo comma che l’avvocato può assumere un incarico professionale contro una parte già assistita solo quando sia trascorso almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale. Con riguardo all’art. 68 del codice deontologico forense si possono osservare diversi risvolti che vengono affrontati in diverse decisioni dal Consiglio Nazionale Forense.
L’avvocato non solo, secondo tale norma, non può né deve assumere un incarico professionale contro una parte già assistita (art. 68 cdf, già art. 51 codice previgente), se non dopo il decorso di almeno un biennio dalla cessazione del rapporto professionale (comma 1), ma vi è un ulteriore vincolo secondo cui, anche dopo tale termine, il professionista in questione deve comunque astenersi dall’utilizzare notizie acquisite in ragione del rapporto già esaurito (comma 3). Peraltro, il divieto de quo non è soggetto ad alcun limite temporale se l’oggetto del nuovo incarico non sia estraneo a quello espletato in precedenza (comma 2), ovvero quando lo stesso avvocato dovesse assistere un coniuge o convivente more uxorio contro l’altro dopo averli assistiti congiuntamente in controversie di natura familiare (comma 4), ovvero ancora quando abbia assistito il minore in controversie familiari e poi dovesse assistere uno dei genitori in successive controversie aventi la medesima natura o viceversa (comma 5). In tal senso si esprime il Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Stoppani, rel. Bertollini), nella sentenza n. 158 del 17 luglio 2021.
Il divieto di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente prescinde dalla natura giudiziale o stragiudiziale dell’attività prestata a favore di quest’ultimo, giacché è sufficiente una prestazione professionale nella più ampia definizione di assistenza, così come è irrilevante il motivo per il quale la dismissione del mandato sia avvenuta, ossia per revoca o rinuncia. La ratio della disposizione deontologica va, infatti, ricercata nella tutela dell’immagine della professione forense, ritenendosi non decoroso né opportuno che un avvocato muti troppo rapidamente cliente (in tal senso Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 62 del 18 giugno 2020), passando nel campo avversario senza un adeguato intervallo temporale e prescinde anche dal concreto utilizzo di eventuali informazioni acquisite nel precedente incarico, non solo quando il nuovo incarico sia inerente al medesimo procedimento nel quale il difensore abbia assistito un’altra parte, che abbia un interesse confliggente con quello del nuovo assistito, ma anche nell’ ipotesi in cui il giudizio successivamente instaurato, pur avendo un petitum diverso, scaturisca da un identico rapporto.
Il precetto deontologico di cui all’articolo in questione non consente pertanto all’avvocato di assumere incarichi contro ex clienti, a meno che sia decorso un ragionevole periodo di tempo, l’oggetto del nuovo incarico sia estraneo a quello espletato in precedenza e non vi sia possibilità, per il professionista, di utilizzare notizie precedentemente acquisite. Tuttavia, secondo il Consiglio Nazionale Forense pur quando non ricorrano nella fattispecie tutte le condizioni innanzi richiamate, il rigido tenore della predetta norma può ritenersi superato allorché il soggetto cliente autorizzando espressamente il professionista a non tener conto del divieto, lo libera dal vincolo deontologico impostogli dal precetto.
La norma analizzata, infine, prevede delle pesanti sanzioni disciplinari a carico dell’avvocato che non la osservi. Infatti, in caso di violazione dei divieti di cui ai commi 1 e 4 in questione comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da due a sei mesi. La violazione dei doveri e divieti di cui ai commi 2, 3 e 5 comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale da uno a tre anni.
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