La sentenza della Corte di Cassazione n. 11665/2022, cassando la sentenza impugnata, ha disposto la reintegra e non solo il risarcimento del lavoratore, in seguito a licenziamento disciplinare ritenuto illegittimo.
La pronuncia -che compie un utilissimo excursus delle sanzioni previste dall’art. 18, come successivamente novellato- potrebbe avere effetti rilevanti sui licenziamenti disciplinari, in particolare sul regime di tutela accordata dalla legge Fornero.
Il caso riguardava il dipendente di una società di vigilanza, con ruolo di comandante delle guardie giurate, che aveva proposto ricorso al Tribunale di Udine al fine di far dichiarare l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli nel 2012 per la contestazione disciplinare relativa a tre episodi (la condotta censurata era quella del dipendente che aveva parlato male del datore durante una conversazione privata via whatsapp). Il Giudice della fase di opposizione aveva applicato una tutela indennitaria attenuata (id est, fino a 12 mensilità); al contrario, il Giudice della fase sommaria e quello di appello avevano ritenuto utile una tutela indennitaria forte ex art. 18 c.5 (id est, 20 mensilità). Ogni giudizio si era concluso quindi stabilendo la carenza della giusta causa.
Con pronuncia innovativa rispetto al filone più restrittivo sino ad oggi delineato dalla Suprema Corte, la sentenza de qua stabilisce che il giudice, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18 commi 4 e 5 della L. 300/1970, come novellata dalla L. n. 92/2012, può punire l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche nel contratto nazionale di riferimento.
Il giudice quindi “è demandato di interpretare la fonte negoziale e verificare la sussimibilità del fatto contestato nella previsione collettiva anche attraverso una valutazione di maggiore o minore gravità della condotta”. Tale operazione non si esaurisce in una generica valutazione di proporzionalità della stessa rispetto alla sanzione irrogata -dal che deriverebbe l’applicazione dell’art. 18 c. 5 Statuto-, ma realizza una vera e propria sussunzione dei fatti contestati nell’una e nell’altra fattispecie contemplata dalla disciplina collettiva. Sicché la tutela attenuata ex art. 18 c.4 Statuto è applicabile in presenza di una valutazione di non proporzionalità attraverso il parametro della riconducibilità della condotta ad una ipotesi punita con sanzione conservativa dal Ccnl. Sicché, l’interpretazione della norma collettiva formulata mediante una clausola generale o elastica non può prescindere da un giudizio che afferisce alla ricostruzione della portata percettiva della norma stessa -nel cui alveo di proporzionalità (già eseguito dalle parti sociali) resta il giudizio-.
Non si tratta quindi di una autonoma valutazione di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto, ma della interpretazione del contratto collettivo rispetto alla fattispecie concreta.
In sostanza, al fine di selezionare la tutela applicabile, è consentita la sussunzione della condotta concretamente accertata nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove tale previsione sia espressa attraverso clausole generali o elastiche.
di Anna Cafagna
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