L’esistenza di una legittima ragione posta alla base del recesso datoriale non esclude la nullità del provvedimento espulsivo ove venga accertata la finalità discriminatoria dello stesso.
Recentemente, la Corte di Cassazione (n. 2414/2022) ha ribadito la possibilità di rinvenire un licenziamento discriminatorio anche in presenza di una legittima ragione giustificativa.
Difatti, a differenza dell’ipotesi del recesso ritorsivo (quello dettato da un intento di rappresaglia e da una reazione del datore all’esercizio di un diritto da parte del lavoratore) con conseguente nullità ex art. 1345 c.c., nel caso di licenziamento discriminatorio la prova dell’unicità e determinatezza del motivo non rileva, posto che in questo caso la discriminazione ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo.
Pertanto, ove il lavoratore alleghi il carattere ritorsivo del licenziamento formulando una domanda d’accertamento della nullità del provvedimento datoriale per motivo illecito, occorre che l’intento ritorsivo del datore di lavoro, la cui prova è a carico del lavoratore (ex plurimis, Cass. n. 26035/2018), sia determinante -tale da costituire l’unica effettiva ragione di recesso- ed esclusivo -id est, il motivo lecito formalmente addotto risulta insussistente-. La verifica dei fatti allegati dal lavoratore richiede così l’accertamento dell’insussistenza della ragione posta a fondamento del licenziamento (v. in particolare Cass. n. 9468/2019). Invece, la prova della unicità e determinatezza del motivo non rileva nel caso di licenziamento discriminatorio, che ben può accompagnarsi ad altro motivo legittimo ed essere comunque nullo (v. Cass. n. 28453/18).
Gli Ermellini , dunque, su queste basi hanno cassato con rinvio il decisum della Corte di Appello di Bologna pronunciatasi nella vertenza avviata da un ex dipendente nei confronti dell’istituto bancario per cui lavorava, dal momento che “la sentenza impugnata è incorsa quindi in errore di diritto laddove ha dimostrato di assimilare sotto il profilo ora evidenziato ogni ipotesi in cui si assuma la esistenza del motivo illecito del recesso datoriale, senza quindi distinguere quella in cui venga in rilievo un motivo ritorsivo e quella in cui si denunzi il carattere discriminatorio del licenziamento, in relazione al quale la esistenza di un motivo legittimo alla base del recesso datoriale non esclude la nullità del provvedimento ove venga accertata la finalità discriminatoria dello stesso”.
di Anna Cafagna
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