Pubblicità dell’avvocato

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Un tempo l’avvocato non aveva necessità di farsi pubblicità attraverso giornali, video o a mezzo social in quanto il numero di tali liberi professionisti era veramente esiguo e proporzionato al numero dei cittadini che ne potessero avere bisogno. Tuttavia l’aumento del numero degli avvocati e il mutato contesto sociale in cui viviamo ha portato nel tempo ad una diversa percezione della pubblicità che può farsi l’avvocato. Il nuovo Codice deontologico è giunto a ritenere la diffusione di informazioni pubblicitarie legittima anche e soprattutto quando, lecitamente, mira al fine commerciale d’incremento della clientela.

Per non essere sanzionati, ex art. 35 del Nuovo Codice deontologico, occorre che la pubblicità non sia ingannevole e non miri ad un accaparramento della clientela. Deve essere una pubblicità informativa.

Con l’avvento del web e dei social sempre più questi mezzi sono stati adoperati dall’avvocato per farsi pubblicità, proprio come proposta commerciale. Ad ogni modo occorre tener ben presente che non è lecita una proposta commerciale che offra servizi professionali a costi molto bassi ovvero determinati forfettariamente senza alcuna proporzione con l’attività svolta.

Particolare rilievo assume la sentenza n. 81 del CNF del 1° giugno 2022. Nel caso di specie un avvocato veniva sottoposto a procedimento disciplinare a seguito di un esposto in cui veniva denunciata la pubblicazione sul suo profilo Facebook di un video, dove stigmatizzando la prospettata apertura di un centro COVID in un condominio, il legale promuoveva la sottoscrizione di un atto di denuncia-querela nei confronti della Regione, mettendosi a disposizione per assistenza legale gratuita. Il procedimento veniva archiviato sulla base delle dichiarazioni difensive dell’avvocato in cui aveva dichiarato di aver agito in qualità di privato cittadino spaventato per la gestione dell’emergenza sanitaria (la vicenda risale al 2020) e non in qualità di professionista. Il COA ha impugnato il provvedimento di archiviazione dinanzi al CNF, sottolineando come il video pubblicato sul social avrebbe violato i doveri di dignità e decoro offrendo ad una molteplicità indistinta di possibili clienti un’iniziativa professionale a titolo gratuito. Si tratterebbe dunque di una violazione dell’art. 37, commi 1 e 4, relativo al divieto di accaparramento di clientela. Il CNF ha ritenuto infondato il ricorso, escludendo carenze di motivazione o contraddittorietà nel processo logico giuridico che ha portato all’archiviazione del procedimento. Sulla base delle risultanze istruttorie e delle dichiarazioni difensive dell’incolpato, è stato infatti valutato il comportamento complessivo dello stesso ritenendo insussistente la violazione delle norme deontologiche sulla base della «gravità del fatto, del grado della colpa, della eventuale sussistenza del dolo e della sua intensità, del comportamento dell’incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, oggettive e soggettive, nel cui contesto è avvenuta la presunta violazione, del pregiudizio eventualmente subito e della compromissione dell’immagine della professione forense». In tale caso di specie, il CNF argomentava la propria decisione sostenendo che «è indubbia la natura non professionale della riflessione e che non poteva essere svolta dall’avvocato perché mancava qualsiasi sottoscrizione di conferimenti di incarichi o moduli a nome dello stesso. D’altra parte, come affermato dall’incolpato, ogni atto, anche di denunzia all’autorità giudiziaria, poteva essere presentata anche personalmente da qualunque cittadino. Non deve essere sottaciuto, poi, che nella fattispecie non si trattava di nomina a difensore dell’avvocato nel procedimento da instaurarsi così che nessun accaparramento di clientela poteva e può sussistere proprio esaminando, così come ha fatto l’organo di disciplina, quanto rinveniente dal video Facebook».

Da tutta la vicenda descritta si evince chiaramente che l’avvocato può farsi sempre e con qualsiasi mezzo, quindi anche video e social, pubblicità informativa purché la stessa non sia finalizzata all’accaparramento della clientela e non si tratti di pubblicità ingannevole o mirante ad offrire consulenza gratuita in quanto ciò comprometterebbe l’immagine della professione forense.


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